Roberto Rossellini: una ricerca continua
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Figlio di una famiglia borghese in contatto con molti intellettuali, formata dal costruttore Angiolo Giuseppe Rossellini e da Elettra Bellan, Roberto Rossellini inizia a frequentare il cinema in giovanissima età, grazie soprattutto al padre che costruisce la prima sala cinematografica di Roma, garantendo così al figlio un contatto costante e duraturo con il mondo di celluloide. Altra grande passione del giovane Roberto sono i motori e le corse automobilistiche, in special modo le Mille Miglia. Dopo il liceo classico interrompe gli studi, continuando a dedicarsi autonomamente sia alle materie umanistiche, come la storia e la filosofia, sia alle questioni tecnico-scientifiche. Per un periodo della sua vita sperimenta molto lavori legati al mondo del cinema, tra i quali anche quello del montatore, creandosi così una solida formazione di base per la sua carriera in divenire. Nel 1936 sposa la scenografa e costumista Marcella de Marchis, con la quale prosegue la collaborazione artistica anche dopo la fine del matrimonio. Dall’unione nasce Romano, morto nel 1946 a soli 9 anni e nel 1941 il figlio Renzo jr. Nelle sue prime sperimentazioni cinematografiche realizza un primo documentario su temi musicali nel 1938 dal titolo Prélude à l’aprés-midi d’un faune, uno sulla natura Fantasia sottomarina (1940), Il ruscello di Ripasottile (1941) e La vispa Teresa (1943). La prima vera collaborazione professionale avviene al fianco di Goffredo Alessandrini, che assiste nella realizzazione di Luciano Serra pilota, uno dei film italiani di maggior successo della prima metà del XX secolo sotto la supervisione di Vittorio Mussolini, esperto aviatore e appassionato di cinema. L’anno successivo per conto del Centro cinematografico del Ministero della Marina, Francesco De Robertis gli affida la regia di un film di guerra, sospeso tra finzione e realtà, La nave bianca. Nel 1942 dirige Un pilota ritorna da un soggetto scritto da Vittorio Mussolini con lo pseudonimo di Tito Silvio Mursino, che racconta dell’odissea di un gruppo di soldati italiani durante la guerra in Grecia. L’uomo dalla croce (1943), da un soggetto di Asvero Gravelli, incentrato sui cappellani militari durante la campa
gna in Russia. Queste pellicole costituiscono una sorta di trilogia fascista, incentrata sul codice del film bellico di propaganda dove affiora il suo intento documentaristico e antiretorico. Grazie al legame con Vittorio Mussolini, il regista si avvicina al gruppo degli intellettuali della rivista “Cinema” da lui diretta, dove nello stesso anno pubblica una nota introduttiva a un servizio fotografico per presentare le immagShadow of a doubt (1943; L’ombra del dubbio). In questa nota che potrebbe sembrare marginale, in realtà viene anticipata la sua concezione poetica che troverà la luce nelle sue opere “questo contatto con veri muri, uomini veri (quegli operai del film presi a impersonare gli abitanti di un quartiere povero) ci sembra un buon segno per il cinema americano, nel riaccostarsi ‒ per ragioni esterne, magari forzose ‒ a un realismo che da tempo ha dimenticato“. In queso periodo stringe amicizie importati con Federico Fellini, Aldo Fabrizi e Giuseppe De Santis. Alla fine del 1943 inizia la lavorazione di una pellicola interpretata da Massimo Girotti, che poi assume il titolo definitivo di Desiderio solo alla sua uscita nelle sale nel 1946, dopo numerosi scontri cona censura. La cosiddetta trilogia della guerra si apre con Roma città aperta, per continuare poi con Paisà e Germania anno zero dove si concretizza la poetica del regista, grazie ad uno sguardo profondo al tragico e alla quotidianità in tutte le sue sfumature, che trovano spazio in un cinema che elabora nuovamente il linguaggio filmico, mettendo fine alla riproduzione della realtà per portare il reale alla luce.
Roma città aperta nasce dalla sceneggiatura di Ugo Pirro che mescola realtà e cronaca con il mito, mentre il racconto filmico avviene quasi senza le mediazioni della finzione poiché il pubblico spettatore della pellicola, è sia destinatario che protagonista del film stesso, immedesimandosi nell’indimenticabile personaggio femminile interpretato da Anna Magnani e del prete, impersonato da un emozionante ed intenso Aldo Fabrizi, ispirato alla figura di Don Luigi Morosini, trucidato dai nazisti nel 1944. La lotta della resistenza mostrata dal film avviene nei luoghi del quotidiano, che viene minato dalla violenza nazifascista e mostra la coscienza e la dignità della popolazione civile.
In Paisà si percorre l’Italia dalla Sicilia al Po nel dramma della lotta di liberazione, la costruzione a episodi contribuisce al senso di coralità della pellicola e alla pluralità dei giudizi e di sguardi proposti, contribuendo in modo diretto e asciutto al racconto storico. Germania anno zero chiude la trilogia e idealmente costituisce il punto di non ritorno e di chiusura di ogni speranza, dove lo sguardo del ragazzino sconvolto dalle atrocità della guerra, non ammette disillusioni e non contempla nessun tipo di rinascita. Lo sguardo del regista è asciutto e distante, quasi asettico nella sua disperazione. Il finale disperato è un vero gesto di rottura nel panorama cinematografico italiano. Nel 1948 esce L’amore interpretato da una magnetica Magnani, è composto di due episodi (Una voce umana, dal monologo di Jean Cocteau e Il miracolo, su soggetto di Fellini), così come La macchina ammazzacattivi (iniziato nel 1948, terminato nel 1951, è uscito solo nel 1952) da un soggetto di Eduardo De Filippo. Queste pellicole inaugurano l’approdo del regista a un concetto di cinema metafisico, dove l’ordine simbolico si fa oggetto/soggetto. Ne Il miracolo è il calvario immaginario e immaginato nella follia di una donna che crede di aspettare un bambino miracoloso; in La macchina ammazzacattivi è l’invenzione di una macchina fotografica che punisce l’ingiustizia umana, uccidendo i soggetti del ritratto. Questa svolta viene intesa dalla critica come una presa di distanza da quel spiritualismo racchiuso nel Neorealismo, confermato anche dalla lucidità impiegata nel raccontare in Francesco, giullare di Dio (1950), sceneggiato al fianco di Federico Fellini dove la fa da padrona l’elegia della semplicità e della follia dei Fioretti francescani. Nelle prime due pellicole Rossellini utilizza la macchina da presa in modo da poter ricondurre il senso della storia collettiva eni gesti anonimi del quotidiano, mettendosi così di nuovo alla ricerca di una nuova espressività drammatica. In Francesco invece si la macchina da presa ritorna al suo uso più semplice e diretto, creando un’armonia ideale dei dieci episodi che costituiscono il racconto filmico.
Con Stromboli ‒ Terra di Dio (1950), Rossellini ritorna a un intreccio drammatico, con un dialogo diretto tra personaggi e ambiente che li circonda, alla ricerca di una comprensione dell’esistere mutuata attraverso l’avventura della donna straniera nel difficile quanto affascinate paesaggio vulcanico. La pellicola che segna anche una svolta dal punto di visuto personale, con l’incontro folgorante con l’attrice Ingrid Bergman, che diventerà compagna di vita e madre di tre figli, è la radiografia di un’anima e invocazione a comprendere l’enigma dell’esistere, attraverso l’avventura di una donna straniera immersa nella violenza conturbante del paesaggio vulcanico. La continua ricerca del cineasta di un nuovo modo di fare il cinema, con un linguaggio totalemente spogliato dalle ridondanze e vocato ad una forma più diretta e acuta così lontana dal mondo cinematrografico contemporaneo, sfocia in Europa ’51 (1952) e Viaggio in Italia (1954), dove l’uso di lunghi piani-sequenza trasmetto il viaggio di Rossellini nelle lande della solitudine alla ricerca di un’amara verità e di un abbandono esistenziale. La critica italiana non comprende questi ultimi film, mentre la Nouvelle vague capitanata da André Bazin, riconosce e consacra la forza della ricerca innovatrice di questa nuova poetica, che è destinata a cambiare il linguaggio filmico.
Dov’è la libertà…? (1954) viene interpretato da un inedito Totò, un barbiere che uscito di prigione dopo vent’anni, preferisce ritornarvi piuttosto che vivere una falsa libertà, un finale paradossale che metaforicamente critica il reale. Sempre del ’54 le pellicola Giovanna d’Arco al rogo e La paura, che segna la fine del sodalizio con la Bergman. Dal punto di vista personale per Rosselini è il momento più duro, che implica anche una crisi dal punto di vista lavorativo aggravata anche dalla non comprensione degli ultimi da parte della critica. Un viaggio in India consente al regista di recuperare uno sguardo più libero, che si concretizza nella lavorazione di stampo documentaristico della pellicola India (1959). Il ritorno in Italia con Il generale Della Rovere (1959), che vince il Leone d’oro ex aequo alla Mostra del cinema di Venezia, gli consente di riconquistare il terreno perduto con la critica e il pubblico. Nell’anno successivo esce Era notte a Roma, che contribuisce assieme al film precedente, alla nuova visione politica di legittimazione della Resistenza come agente dell’unità nazionale, legata con un sottile filo al Risorgimento. Gli anni ’60 segano una nuovo sviluppo nella ricerca rosselliniana, con un progressivo abbandono della finzione per giungere ad una visione lucida per comprendere il legame tra la Storia e la società. Ne sono testimonianze Viva l’Italia! (1961), una cronaca secca e non agiografica dei fatti che hanno costituito l’epopea risorgimentale, Vanina Vanini (1961), dove trova spazio tutta l’ipocrisia e la violenza della società aristocratica della Roma
papalina, Anima nera (1962), tratto dalla commedia di G. Patroni-Griffi e l’episodio Illibatezza contenuto nel lavoro collettivo di RO.GO.PA.G. (1963). Nel 1964 inizia la sperimentazione televisiva con uno spirito educativo e quasi enciclopedico con una serie dei documentari intitolato L’Età del Ferro, realizzati in collaborazione con il figlio Renzo. Con La prise de pouvoir par Louis XIV inizia un vero e proprio ciclo di film di carattere storico-didattico: La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza (1967), Gli atti degli Apostoli (1968), Socrate (1970), Pascal (1971), Cartesius (1974). Torna al cinema con Anno uno (1974), dove racconta di Alcide De Gasperi tramite i suoi appunti personali e l’ultima pellicola Il Messia (1975).Il regista si spegna a Roma il 3 giugno del 1977.
Roberto Rossellini è stato un regista inquieto e visionario che più di tutti si è proiettato in avanti, in un percorso che non è stato mai lineare, ma continuamente dedito ad una ricerca anticipatrice di nuovi linguaggi e di nuovi usi sia della macchina da presa, sia di un modo diverso di intendere la sceneggiatura filmica, perfezionando il modo di dirigere degli attori e di gestire il set, passando da vie alternative per la produzione e la distribuzione delle pellicole, giungendo persino a perfezionare nuove soluzioni tecniche di ripresa. Un anticipatore, un innovatore che ha traghettato il cinema italiano verso la modernità.
Chiara Merlo




















