Riso amaro (G. De Santis 1949)
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Candidato agli Oscar nel 1951 come Miglior soggetto ed inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare redatta all’interno della Mostra del Cinema di Venezia, Riso Amaro restituisce uno spaccato di vita delle mondariso nel 1948, in una sorta di melodramma neorealista che si pone come una sorta di spartiacque tra il neorealismo e il nuovo cinema italiano degli anni ’50.
La pellicola è quindi come un luogo di incontro e di contaminazione tra la cultura alta del neorealismo e la cultura di genere, racconta il durissimo lavoro delle mondine e la storia passionale e contorta dei protagonisti. Il manifesto racchiude questi elementi: in primo piano, a figura intera la splendida Silvana Mangano, giunonica e fiera, in posa di 3/4 con il viso illuminato da una luce calda e lo sguardo che punta dritto a chi la guarda, mentre nella mano sinistra trattiene le piantine di riso, che la identificano così come una delle mondine.
In secondo piano sono posti i due protagonisti maschili: sulla sinistra Vittorio Gassman con un cappello di feltro in testa mentre dal lato opposto, in un leggero secondo piano, Raf Vallone. I due attori sono entrambi rappresentati con visi serissimi e sguardi severi persi a fissare un punto imprecisato davanti a loro, quasi stessero entrambi pensando alla bella Silvana (Mangano). Dal punto di vista cromatico c’è una chiara contrapposizione tra i toni caldi e rassicuranti utilizzati per la figura della Mangano, contro la gamma di grigi che scolpiscono le figure maschili, rendendoli ancora più spigolosi, duri e quasi spettrali. Il triangolo amoroso è riproposto nel manifesto, catturando così l’occhio dello spettatore e anticipando il centro focale dalla storia.
Nella parte bassa invece è riproposta una scena di vita delle mondine, intente nel proprio lavoro chine nella risaia, che conferisce una dose di realismo al manifesto ed è nel contempo un chiaro richiamo all’incipit del film.
Riso amaro fu un grande successo sia nazionale che internazionale, consacrando Silvana Mangano come icona sensuale del cinema italiano del dopoguerra e traghettò il cinema italiano in nuova fase di genere.
(Chiara Merlo)