Mario Monicelli, il “toscanaccio” della commedia all’italiana
Mario Monicelli, nasce a Roma il 16/05/1915, anche se per anni si è ritenuto che fosse nato a Viareggio, un equivoco alimentato dallo stesso regista, che aveva un legame strettissimo con la città toscana. La cultura e l’amore per la scrittura nella famiglia Monicelli è di casa, il padre Tomaso, era sia giornalista e direttore del Resto del Carlino e dell’Avanti!, che critico teatrale e drammaturgo, i fratelli Giorgio, traduttore e editore, mentre il fratello Furio scrittore di un buon successo con il romanzo Il gesuita perfetto. Gioca inoltre un ruolo fondamentale anche la parentela con la famiglia Mondadori, infatti la zia paterna era la moglie di con la famiglia Mondadori.
Trascorre l’infanzia dapprima a Roma e poi a Viareggio, per approdare poi negli anni del liceo a Milano. Qui incontra Riccardo Freda, Remo Cantoni, Alberto Lattuada, Alberto Mondadori e Vittorio Sereni con cui fonda, con l’appoggio fondamentale dell’editore Mondadori, il giornale d’avanguardia artistica Camminare, in cui Monicelli si occupava di critica cinematografica; le sue critiche riferite ai film italiano sono molto dure, mentre sono esaltanti le parole riservate al cinema francese. La rivista viene soppressa dal Ministero della Cultura Popolare, perché considerata di sinistra.
Gli studi universitari li conclude a Pisa, nella facoltà di Lettere e filosofia, ma la laurea deve attendere sino alla fine del periodo trascorso sotto le armi. Il primo esperimeno di cinema è del 1934, con un cortometraggio dal tiolo Cuore rivelatore, ispirato all’omonima opera di Edgar Allan Poe e girato con Alberto Mondadori ed Alberto Lattuada, viene rifiutato dai Cineguf perchè ritenuto “paranoico”. Il primo lungometraggio è dell’anno seguente, I ragazzi della via Paal, partecipa alla Mostra per i film a passo ridotto di Venezia, manifestazione parallela alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. La vittoria consente a Monicelli l’opportunità di lavorare nella produzione di un film professionale, ovvero come “ciacchista” nella produzione del film di Gustav Machatý Ballerine. Successivamente partecipa come assistente a vari film, come ad esempio Lo squadrone bianco di Augusto Genina e I fratelli Castiglioni di Corrado D’Errico. Durante questa produzione conosce Giacomo Gentilomo, con cui gira due film La granduchessa si diverte e Cortocircuito, nei quali svolge ufficialmente per la prima volta l’incarico di aiuto-regista ed anche di cosceneggiatore. Nel 1937 dirige un film amatoriale Pioggia d’estate, sotto uno pseudonimo di Michele Badiek; questa esperienza, nonsotante il film non sia mai stato distribuito, si rivela particolrmente formativa, perchè ricoprendo molti dei ruoli produttivi impara a “scrivere per il cinema, a girare, a trattare con gli attori […] E, soprattutto, a constatare, quando poi lo rivedevo in proiezione, che quello che mettevo in scena ogni giorno non corrispondeva se
non in minimissima parte alle mie aspettative”. Il periodo sotto le armi per Monicelli va dal 1940 al 1943, anni in cui cerca in ogni mdo di evitare il trasferimento, temendo di essere inviato nella campagna di Russia e in quella africana. Dopo l’8 settembre, scappa a Roma, dove rimane nascosto fino all’estate del 1944.
Nella capitale frequenta i ritrovi culturali, come l’Osteria Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti tra gli anni quaranta e settanta. Nel 1945 Monicelli diviene aiuto-regista nel primo film di Pietro Germi Il testimone. Tra i due si instatura un profondo legame di amicizia, che durerà per anni, nonostante la nota riservatezza di Germi.Un esempio di questa grande amicizia: Germi, impossibilitato a fare Amici miei per problemi di salute, chiama Monicelli per dirigere al suo posto.
Altro grande legame di Monicelli è quello con Steno, una collaborazione che nasce nel 1946 , quando entrami sono scelti da Riccardo Freda, per realizzare la sceneggiatura di Aquila nera. Il grande successo di questo film consente alla coppia Monicelli-Steno di scrivere gag e battute per il film Come persi la guerra, diretto da Carlo Borghesio. Oltre a scrivere, iniziano anche a dirigere i loro film: Al diavolo la celebrità (1949), è una vertiginosa commedia degli equivoci con Totò, in cui il popolare comico viene utilizzato in una chiave quasi neorealista, con una storia ambientata tra gli sfollati del dopoguerra che cercano disperatamente un’abitazione dignitosa.
La collaborazione con Steno, che dura sino al 1953, da vita ad alcune delle commedie più incisive del dopoguerra, come ad esempio Guardie e ladri (1951), premiato al Festival di Cannes con il premio alla miglior sceneggiatura. Il sodalizio termina durante la realizzazione dei film Le infedeli e Totò e le donne; entrambi i film dovevano essere sceneggiati e girati a quattro mani da Steno e Monicelli, ma in realtà quest’ultimo si occupa solo del dramma borghese Le infedeli, stanco di realizzare solo pellicole di stampo comico. Questa suddivisione del lavoro, avviene all’insaputa dei produttori, che di certo non avrebbero gradito. Terminato il sodalizio con Steno, Monicelli dirige Totò e Carolina (1955), dove per la prima volta il grande attore napoletano non veste i panni del ladruncolo, ma quelli di un carabiniere; la censura dell’epoca accoglie positivamente l’ironia intorno alle forze dell’ordine, così il film subisce pesanti tagli.
Per l’amico Germi, accanto a Federico Fellini, è sceneggiatore di In nome della legge (scritto con Pinelli, Germi e Giuseppe Mangione). Il grande riconoscimento per Monicelli come regista, avviene nel 1957 vincendo il premio al miglior regista del Festival di Berlino con Padri e figli. Il punto di svolta nella carriera di Monicelli è I soliti ignoti (1958), che segna l’avvio verso la cosiddetta “commedia all’italiana”. La pellicola sceneggiata assieme ad Age e Scarpelli e a Suso Cecchi D’Amico, sovverte per la prima volta il rapporto tra autorità e libertà, analizzato per esempio in Guardie e ladri, rappresentando un manipolo di aspiranti ladri votati all’insuccesso. Con questa pellicola Monicelli impone una svolta epocale al cinema italiano,proponendo un nuovo lo stile che crea i caratteri della commedia all’italiana attraverso un modo diverso di intendere l’umorismo, permeato di acredine e volto all’osservazione disincantata delle miserie umane e sociali.
Da questa pellicola inizia la grande ascesa con La grande guerra (1959), con cui vince un Leone d’oro ad ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini ed ottiene una nomination all’Oscar al miglior film straniero. La grande guerra si allontana molto dagli stereotipi classici della commedia, affrontando con un registro tragicomico la dolorosa tragedia della Prima guerra mondiale, fornendo una versione diversa e antiretorica della storia italiana, grazie anche alle entusiasmanti interpretazioni di Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
L’attenzione critica di Monicelli e il suo chiaro impegno politico trovano nuova luce con le pellicole successive.
La seconda nomination ad un premio Oscar viene ricevuta nel 1963, grazie alla pellicola I compagni, una pellicola dedicata alla storia del sindacalismo e alla lotta operaia, un film corale interpretato da Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Annie Girardot.
Negli anni ’60 Monicelli si dedica anche a film a episodi, come Boccaccio ’70 (1962) che il realtà viene tagliato dal produttore Carlo Ponti, scatenando l’accanita protesta degli registi che culmina nel boicottaggio del Festival di Cannes del 1962, che avrebbe dovuto essere inaugurato dal film, Alta infedeltà (1964) e Capriccio all’italiana (1968). Con L’armata Brancaleone (1966) Monicelli presenta un Medioevo alquanto singolare, un’epopea grottesca raccontata attraverso un registro tragicomico, anche grazie all’uso di un’inedita lingua maccheronica, divenuta memorabile nel cinema italiano. Il film viene anche selezionato per il festival di Cannes e ha un seguito nel 1969 intitolato Brancaleone alle crociate decisamente meno incisivo del primo.
Nel 1973 il film Vogliamo i colonnelli, interpretato da Ugo Tognazzi, è selezionato per il festival di Cannes, mentre La ragazza con la pistola (1968), vale la terza nomination all’Oscar.
Del 1974 Romanzo popolare è una commedia sospesa tra ironia e malinconia, nella quale sono trattati alcuni dei temi centralo per la cultura degli anni ’70, come il rapporto tra nord e sud, la condizione operaia, le lotte sindacali e l’emancipazione femminile. Del 1975 il primo capitolo della trilogia di Amici miei (del 1982 il secondo, mentre quello conclusivo del 1985 viene diretto da Nanni Loy). adotta della vita una visione malinconica, intimista e drammatica ma nel contempo accompagnata da un’irresistibile ironia e stemperata in un cinismo acre, tipica del temperamento “toscanaccio” del regista. Nel 1979 la vena malinconica di Monicelli trova una via nella pellicola Viaggio con Anita, che altro non è che un pretesto e alquanto spietato bilancio di vita.
Con Caro Michele si aggiudica l’Orso d’argento al festival di Berlino nel 1976; dell’anno successivo
Un borghese piccolo piccolo, girato nel pieno degli anni di piombo, s’ispira ad un’opera dello scrittore Vincenzo Cerami. In questa pellicola il registro tipico del regista è sostituito da toni è
profondamente drammatici. Il tragicomico ritorna prepotentemente con Il marchese del Grillo, del 1981, interpretato da Alberto Sordi; vince l’Orso d’argento al festival di Berlino del 1982.
Monicelli negli anni ’80 e ’90 continua a ricercare e cambiare il proprio sguardo, sempre attento agli umori dell’Italia contemporanea. Dal maschilismo cameratesco di Amici miei, passa all’esaltazione della donna in Speriamo che sia femmina (1985), mentre con Parenti serpenti (1991) ritorna ad utilizzare il suo tono cstco e cinico per descrivere la famiglia in bilico tra i problemi generazionali. Ritorna a vincere un Orso d’argento, nella sezione menzione speciale, con la pellicola grottesca Cari fottutissimi amici, che vede come protagonista l’attore genovese Paolo Villaggio.
Parallelamente all’attività cinematografica, Monicelli si dedica anche al teatro, sia in prosa che lirico, con alcune felici produzioni, soprattutto negli anni ottanta; lavora anche per la televisione producendo il cortometraggio Conoscete veramente Mangiafoco? (1981), con Vittorio Gassman, La moglie ingenua e il marito malato (1989) e Come quando fuori piove (2000) e il documentario Un amico magico: il maestro Nino Rota (1999).
Mario Monicelli si è anche occasionalmente prestato a qualche cameo attoriale (L’allegro marciapiede dei delitti, 1979; Sotto il sole della Toscana, 2003; SoloMetro, 2007), dando anche la voce al nonno di Leonardo Pieraccioni ne Il ciclone (1996). La sua intensa attività, non si esaurisce né con l’avanzare dell’età né con la malattia, anzi prosegue con il tipico fervore politico sino alla fine, sino a quando la sera del 29 novembre 2010 all’età 95 anni, decide di togliersi la vita gettandosi dalla finestra della stanza che occupava nell’Ospedale San Giovanni Addolorata, dove era ricoverato.
È da considerarsi probabilmente il regista che meglio di tutti ha interpretato lo stile e i contenuti del genere della Commedia all’italiana, che ha saputo cogliere le sfumatura degli attori con cui ha lavorato, consentendo loro di affrontare sfide entusiasmanti, trasformando per esempio Alberto Sordi in attore drammatico in La grande guerra e Un borghese piccolo piccolo, e di il merito di scoprire le grandi capacità comiche di Vittorio Gassman nei Soliti ignoti e Monica Vitti nella Ragazza con la pistola. Autore sensibile alle variazioni dell’Italia contemporanea, ha saputo al contempo catturare il consenso del pubblico e criticare il costume e la politica italiana, tratteggiando personaggi e meccanismi narrativi, grazie ad uno stili caustico e cinico, divenuto tipico della commedia all’italiana. Con il sorriso amaro, l’ironia tragica di perdenti che diventano protagonisti vivi e graffianti ha diretto i più grandi attori italiana, i colonnelli della commedia all’italiana Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Monica Vitti. L’impegno politico divenuto preciso impegno morale, è stato una costante nella sua produzione e nella sua vita, diventando fonte d’ispirazione per le generazioni successive, due su tutti Paolo Virzì e Leonardo Pieraccioni.
Chiara Merlo















