Lo chiamavano Jeeg Robot (G. Mainetti – 2016)
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Trionfatore al botteghino ed ai David di Donatello, la pellicola di Mainetti ha stupito ed entusiasmato sia il pubblico che la critica, ricevendo quasi tutte recensioni più che positive.
Film innovativo nel panorama cinematografico italiano, è chiaro un omaggio alla serie manga e anime Jeeg robot d’acciaio di Gō Nagai, dai quali gli autori Guaglianone e Menotti, prendono parte dell’ispirazione per la storia.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) da Tor Bella Monaca-Roma, si ritrova catapultato a vestire i panni di un quasi-eroe nostrano, tanto improvvisato quanto confuso dal ruolo, dopo essere buttato nel Tevere da ladruncolo di periferia ed esserne uscito con forza inumana, grazie a dei rifiuti radioattivi abbandonati.
Da lì in poi Ceccotti inciampa in una serie di assurde situazioni e bizzarri incontri: primo fra tutti quello con Alessia (Ilenia Pastorelli), una giovane con un passato di violenza domestica ed evidenti problemi psichici, completamente ossessionata dall’anime Jeeg robot d’acciaio. Alessia confonde e fonde assieme realtà e fantasia, tanto da identificare Ceccotti come Hiroshi Shiba e spingerlo così vestirne gli improbabili panni. Da questa sovrapposizione tra personaggi nasce chiaramente anche il titolo del film.
Come ogni supereroe (anche se non sa di esserlo…) che si rispetti, anche il Jeeg romano ha il suo villain: lo Zingaro, interpretato da uno strepitoso Luca Marinelli. Ma la storia raccontata nella pellicola non è un blockbuster d’oltre oceano: la storia non solo è ambientata a Roma ma è (tristemente) italianissima e quindi il super eroe prima di diventare tale fa un suo viaggio personale, segnato nel profondo dal crimine; lo Zingaro ha manie di grandezza, prima rincorre il successo televisivo e poi cerca di scalare la scala gerarchica della malavita grazie alla droga, non facendo i conti però con uno spietato clan di camorristi, guidati da una donna boss che lo tiene in pugno. Sullo sfondo scorre una Roma ferita sia dagli attentati, sia dalle difficoltà quotidiane di chi si arrabatta e cerca in qualche modo di trovare la propria strada.
Uno dei manifesti realizzati per la promozione del film, è in realtà una sorta di fermo immagine del finale della pellicola e riassume allo spettatore alcuni degli elementi principali: una figura di nero vestita con una felpa bucata presumibilmente da fori di proiettile, osserva dall’alto una Roma immersa nell’oscurità, con tanto di nuvoloni all’orizzonte, dove solo le zone monumentali sono chiaramente illuminate. Sotto i suoi piedi mura antiche, ovvero il Colosseo, due vasetti di budino di cui l’eroe nostrano è ghiotto, due distratti piccioni, tutti elementi che rimarcano l’assoluta italianità dell’intero progetto ed al tempo stesso contribuiscono a smitizzare l’immagine: tutto il contrario di quello che accade nei manifesti d’oltreoceano. A destra del manifesto assieme ai crediti, c’è l’unica nota esterofila, ovvero la traduzione del titolo in giapponese, come omaggio alla cultura e alla tradizione anime che ha guidato il regista Mainetti nella realizzazione dell’intero progetto.
E l’improbabile maschera di Jeeg robot, fatta a maglia con amore dalla protagonista femminile, fa teneramente sorridere .
E’ stato recente pubblicato da Lucky Red e La Gazzetta dello Sport, un fumetto omonimo basato sul film che racconta una breve storia, collocata cronologicamente dopo i fatti avvenuti nel film. L’albo è stato scritto e curato da Roberto Recchioni, con i disegni di Giorgio Pontrelli e Stefano Simeone. Sono state inoltre pubblicate 4 variant realizzate da Roberto Recchioni, Leo Ortolani, Zerocalcare e Giacomo Bevilacqua.
Chiara Merlo