L’Immagine del divo nel manifesto cinematografico
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CARTEL ITALIANO – 100×140
“Nei manifesti pubblicitari più conosciuti, gli attori s’impongono all’attenzione immediata del potenziale spettatore con i loro corpi disegnati o fotografati. Sono sempre corpi carichi di significato e di promesse che il film pubblicizzato evoca. La figura dell’attore si plasma in rapporto al genere di film che interpreta: il corpo atletico e agile per film d’avventura, lo sguardo misterioso e affascinante per i drammi passionali, le pose e l’abbigliamento per le comiche. Oppure, al contrario si può partire dalle caratteristiche del divo per costruirgli film su misura.
I divi e i film infatti s’integrano a vicenda in un vincolo strettissimo di influenze reciproche. Lo studio sugli attori può farci capire che, lo spettatore crea una sorta di rapporto dialettico con loro, identifica la persona reale con il personaggio dello schermo. Più che a definire la specificità e la singolarità della vicenda del film, si punta a far coincidere gli attori con i caratteri dei personaggi delle loro interpretazioni precedenti: lo spettatore è invitato a ricordare, ad attivare conoscenze acquisite in precedenza e ad esprimere la propria fedeltà scegliendo nuovamente il divo.

Vittorio De Sica, il primo grande divo del cinema sonoro italiano, nel film Gli uomini che mascalzoni! (M. Camerini, 1932)
In generale la nascita del fenomeno divistico è da collocare in un contesto più ampio rispetto ai soli contesti filmici, il suo terreno di coltura sono gli articoli giornalistici incentrati sull’esistenza dell’attore fuori dallo schermo, il gossip giornalistico.
La serialità divismo
“L’immagine della star nei film e nella vita deve essere sotto il segno della coerenza e della continuità: la vita privata dei divi diventa pubblica, si seguono le loro vicende amorose, si discute delle loro abitudini e del modo di vestire, si pubblicano biografie, romanzi che parlano di loro. In questo senso ogni una nuova pellicola interpretata dal divo costituisce un tassello in più che si aggiunge al mosaico delle informazioni su di lui che sono già in possesso dello spettatore”.
L’immagine dell’attore nei manifesti cinematografici è una sorta di garanzia, per cui il pubblico è rassicurato che non sarà tradito dal suo preferito e non ci saranno sgradevoli sorprese. Naturalmente l’ultima interpretazione, pur presentata nel segno della continuità, è contemporaneamente un nuovo anello della catena: più grande, più misterioso, più bello, più affascinante rispetto ai precedenti. In sostanza la strategia comunicativa adottata dai manifesti nei confronti dello spettatore si appoggia sui meccanismi della ripetizione, di una serialità, non solo di genere, ma di attori per i quali, ogni nuovo film rappresenta una variante da incasellare nel campo delle conoscenze già acquisite. La “serialità divismo” consente allo spettatore di riconoscere e inquadrare anche attori che si caratterizzano per le loro capacità di passare da un genere all’altro.
Per il pubblico il tratto distintivo di questa particolare tipologia di attori non è tanto la ripetitività dei ruoli rappresentati, bensì la loro continua variazione e capacità di metamorfosi e la loro unicità come interpreti.
Il manifesto come atto di fiducia
In conclusione si può affermare che la funzione di richiamo esercitata dai nomi degli attori è – insieme alla casa di produzione, al regista e attori secondari – una delle componenti essenziali di una strategia comunicativa volta a stabilire un patto fiduciario con il pubblico.” Con il manifesto si incita il pubblico ad avere fiducia, a vedere quel determinato film per ritrovare l’attore, o un suo emulo, già apprezzato in film precedenti, si cerca di “fidelizzarlo”.