Le sfumature del nero: due noir di John Huston a confronto
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Il noir è uno dei generi del cinema classico, i cui stilemi ricorrenti sono ben noti: dalla sovrabbondanza dell’elemento acquatico (rintracciabile nelle condizioni atmosferiche ma anche nei luoghi che fanno da sfondo alla vicenda), l’utilizzo di una fotografia che privilegia i contrasti netti tra bianco e nero, l’ambiguità morale e via dicendo. Scavando sotto un poco sotto i più eclatanti tratti distintivi comuni balzano però all’occhio anche numerose differenze, che contribuiscono a creare la varietà di cui si compone il corpus di pellicole che ricadono sotto l’etichetta di questo genere. Ancora più interessanti divengono i contrasti qualora i film provengano dalla filmografia di uno stesso autore, in particolar modo se l’autore in questione è John Huston, il quale ha contribuito in prima persona a plasmare le caratteristiche del noir americano. L’obiettivo che ci proponiamo è dunque quello di analizzare le opposizioni simmetriche di cui si costituisce il contrasto tra due famosi film di questo regista, Il mistero del falco (1941) e Giungla d’asfalto (1950), due perle che, nonostante siano state partorite dalla stessa geniale penna, presentano diversi tratti in curiosa contrapposizione tra loro.
La prima, più ovvia, differenza che si presenta allo spettatore è quella che intercorre tra i due regimi di focalizzazione utilizzati nel procedere della narrazione. Entrambi i film si contraddistinguono per essere piuttosto corali. In questi concerti di personalità , come in ogni noir, ciascun personaggio messo in scena, oltre ad essere utilizzato per veicolare una carica simbolica unica e precisa, gioca attraverso il perseguimento dei propri fini un ruolo specifico all’interno di un’intelaiatura più ampia, la cui trama generale rimane spesso sconosciuta fino all’epilogo. In Giungla d’asfalto assumiamo di volta in volta il punto di vista dei diversi personaggi, facciamo i conti con le motivazioni che li spingono ad agire e lentamente vediamo disvelarsi i loro veri fini davanti ai nostri occhi. Ciò provoca, oltre all’ovvia conseguenza di polarizzare una carica empatica attorno ai personaggi dovuta alla familiarità che via via si acquisisce con loro, lo spostamento dell’attenzione dello spettatore sulla previsione dell’esito degli eventi al variare di ogni situazione che mina il fragile equilibrio del piano messo a punto dai protagonisti. Viceversa nel Mistero del falco la focalizzazione è drammaticamente esterna. Non siamo mai a conoscenza dei pensieri dei personaggi e ognuno di loro getta la maschera solo per indossarne un’altra ancora più enigmatica: è il regno del bluff, una sfida giocata sui nervi in cui ogni personaggio può costituire da un momento all’altro una variabile impazzita, e alla quale lo spettatore assiste impotente, nell’attesa dello scioglimento finale di un nodo su cui non ha il minimo controllo.
A questa onniscienza/nescienza (a seconda del film) dello spettatore corrisponde quella dei protagonisti. Nel Mistero del falco sono infatti loro a tenere le redini del gioco, in particolare quell’indimenticabile Sam Spade, che con eccezionale maestria riesce a rivoltare la situazione a proprio favore attraverso l’uso degli ingredienti essenziali all’azione di ogni detective che si rispetti: intuito, pianificazione e dissimulazione. Assente è la fortuna, perché Il mistero del falco rappresenta il trionfo totale del determinismo: a causa corrisponde conseguenza, all’azione l’effetto, e solo così è possibile la predisposizione di quel machiavellico meccanismo di relazioni messo a punto da Spade che gli consentirà di venire a capo della situazione. Il detective agisce da marionettista, manovrando pazientemente i fili e inducendo ogni personaggio alle mosse da lui precedentemente premeditate. Un solo sbaglio risulterebbe fatale alla riuscita, ma fortunatamente le previs
ioni si rivelano esatte e
Tutt’altra faccenda è quella di Giungla d’asfalto, in cui le previsioni dei personaggi si rivelano errate non solo per quanto riguarda le azioni altrui ma perfino nel desumere gli effetti delle proprie. Il determinismo non regge all’avvento del cieco caso e per quanto possano essere accurati i calcoli, come quelli del pittoresco Doc Emmerich, non daranno i risultati sperati a causa di forze imprevedibili. Come nella tragedia classica i protagonisti di Giungla d’asfalto combattono un destino contro il quale non possono vincere.
Ciò ci induce a considerare l’ultimo contrasto, quello che vede contrapposti i due protagonisti. Da una parte il Sam Spade di Humphrey Bogart, carismatico, flemmatico, indecifrabile e calcolatore, perfetto rappresentante della modernità : cinico e spregiudicato, mosso da una scelta etica quasi inconsapevole ma determinato a portarla ad ogni costo fino in fondo. Dall’altra il Dick Handley di Sterling Hayden, che guarda invece con occhio nostalgico al passato, non solo quello di un paese che cambia troppo velocemente, ma soprattutto al suo personale vissuto infantile, costituito dalla semplicità della terra, dei cavalli e del lavoro manuale: nel tentativo di recuperare ciò deciderà di prendere parte alla rapina e, fallendo, perderà tutto. All’eleganza sicura di Spade si contrappone così la rozza grossolanità di Handley, al carisma e allo charme di Bogart, fusi con il suo volto insieme sardonico e autorevole, la maschera torva e sincera di Hayden, perfetta per rappresentare un mondo in cui non ci sono vincitori ma soltanto una schiera di vinti.
(Federico Colombo)