Angelo Cesselon
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Il trasferimento di Cesselon a Roma dalla natia Settimo di Cinto Maggiore, in provincia di Venezia, costituisce un fatto importante per la sua formazione di cartellonista. Dagli anni Trenta Roma è la capitale del manifesto, sede delle case di produzione cinematografiche e delle principali agenzie pubblicitarie, tra cui l’I.G.A.P., la B.C.M. e lo Studio Favalli. Molti cartellonisti iniziano la loro attività per il cinema lavorando per alcune grosse majors americane le quali sviluppano in Italia una forma di mecenatismo nei confronti dei cartellonisti italiani favorito anche dall’assenza di un’organizzazione nazionale dei cartellonisti capace di costituirsi come forza politica che agisca a loro favore. Ne nasce un rapporto interessante e complesso. Se da una parte gli artisti sono costretti ad adeguarsi ai principi di standardizzazione e differenziazione che ne caratteristicano la produzione industriale sottoponendo la propria creatività a modelli figurativi e cromatici stereotipati, dall’altra le case di produzione rispettano lo stile proprio di ogni pittore poiché non solo contribuisce a valorizzare maggiormente il film ma anche a valorizzare e identificare la casa di produzione stessa. Nel secondo dopoguerra le majors spesso richiedono l’uso di caratteristiche stilistiche specifiche in grado di identificarle già dal cartellone: la MGM punta al disegno elegante e preciso, la Paramount ricerca l’illustrazione più narrativa, la Warner Bros procede alla sintesi grafica della storia del film in una sola immagine, la Columbia gioca sulla fotografia a pieno foglio lasciando solo uno spazio per il titolo e i nomi degli attori[1].
Cesselon, che lavora per la MGM, la Fox, la Paramount, l’italiana Titanus e molte altre sembra adeguarsi ad una rappresentazione rivolta maggiormanete all’effetto emotivo che il film suscita (paura, pianto, riso, eccitazione…) e alla sintesi del racconto piuttosto che all’astrazione simbolica del contenuto, arricchendo però le sue opere di uno stile e di una matrice compositiva fortemente pittorica introducendo quell’uso del primo piano che ne caratterizza fortemente il lavoro.
Il suo frequente uso del taglio cinematografico per le illustrazioni, soprattutto il primo e il primissimo piano oppure, il dettaglio degli occhi e della bocca dipende, con tutta probabilità, sia dalla disponibilità di foto di scena messe a disposizione dalla casa di produzione del film o addirittura della possibilità di vedere il film in anteprima, sia dalla propria vocazione artistica che riconosce nel volto dell’attore uno dei paesaggi più ricchi, denotativi e suggestivi del racconto cinematografico. Senza dimenticare, ovviamente, quanta conti la forza persuasiva della presenza dell’attore/divo nel film.
Ma qual è il contesto entro cui lavora Cesselon? Gli anni 1946-1950 sono ricchi di opere interessanti e geniali, stimolate soprattutto dalle nuove tecniche di stampa. La quadricromia, la fotolito e l’offset aggiornano le tecniche per la riproduzione dei disegni che possono finalmente aumentare la loro complesità di contorno e di colore. Le fotografie delle fotobuste cessano di essere incollate sul manifesto ma vengono stampate direttamente sul foglio.
Già negli anni che vanno dall’inizio del secolo allo scoppio della seconda guerra mondiale, la pubblicità aveva fatto ampio uso della vignetta senza baloon che Rubino aveva lanciato dalle pagine del Corriere dei Piccoli. L’introduzione nel manifesto cinematografico della semplice ma efficace espressività del linguaggio del fumetto spetta, in particolare, ad Enrico De Seta il quale ha disegnato le strisce satiriche per molte riviste a fumetti, tra cui il Corriere dei Piccoli. Cesselon si mantiene lontano da questa tendenza preferendo una matrice pittorica più tradizionale sia nell’uso del colore sia nella composizione figurativa. In particolare Cesselon risente dell’influenza della matrice verista che vive un profondo rinnovamento sulla spinta del Neorealismo cinematografico e che lo avvicina più a cartellonisti come Averardo Ciriello (1918) e alla sua esasperazione dei toni veristici, piuttosto che ai fratelli Enzo e Giuliano Nistri, a Paolo Tarquini (detto Palt) o a Gioacchino Colizzi (detto Attalo) e al loro stile fotografico ispirato dalle copertine delle riviste Grand Hotel e Signorina Sette.
Si veda ad esempio il manifesto per il film Umberto D. di Vittorio De Sica in cui l’ampia gamma di colori usati, i mezzi toni, la collocazione del soggetto nello spazio e l’espressività del volto dell’anziano signore restituiscono con apparente semplicità l’atmosfera del film. In un vortice di colori freddi (grigio, verde, beige) emerge da un fondo scuro la figura umana dipinta con colori chiari (capelli binachi, un foglio bianco) e pallidi (le mani e il volto), creando con uno stacco cromatico il senso della separazione e della distanza dell’uomo dal suo ambiente. Una scelta cromatica che trasmette un vago senso di tristezza e di desolazione. Nell’atteggiamento di salire un gradino è inscritta in maniera simbolica la difficoltà nella quale l’uomo si trova, l’ostacolo di fronte al suo cammino in una città ostile rappresentata dalle due rigide colonne che lo circondano. L’uomo, il cui abito blu ed elegante sottolinea raffinatezza e buone maniere, sembra abbandonare un luogo caldo e accogliente per uno freddo e impervio. Anche la collocazione del titolo del film non sembra casuale ma, collocata nel mezzo della figura, sembra tagliare l’uomo in due, simbolo di una vita spezzata.
Come i migliori autori di questa generazione egli sarà in grado di adattare il proprio stile e le scelte compositive dell’immagine per i cartelloni cinematografici ad una società in rapido cambiamento abbandonando il modello descrittivo ormai superato della Domenica del Corriere per prendere sempre più spunti dal film stesso, acquisendone i tagli dell’inquadratura, organizzando più immagini in sequenze dal montaggio cinematografico.
Cesselon rappresenta con forza la vera essenza dell’illustrazione pubblicitaria per il film, in cui all’artigianato si lega una grande vocazione artistica e una profonda capacità comunicativa, e in cui la creatività e il genio artistico non sono mai soffocate dalle pressanti esigenze del mercato.
Per maggiori informazioni visitare il sito dell’archivio Cesselon.
[1] Cfr. Marchiando-Pacchiola M. (a cura di), Cento stelle di carta. Grafica ed illustrazione nelle locandine del cinema, Tipolitografia Giuseppini, Pinerolo 1988.