La dolce vita (F. Fellini, 1960)
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Dipinto da Giorgio Olivetti, il manifesto costituisce uno dei più interessanti tra i diversi soggetti realizzati per il capolavoro di Fellini. Olivetti dipinge con pennellate decise e intense l’attrice Anita Ekberg assorta nei suoi movimenti. Il tratto è sinuoso e curvilineo, le linee delicate e le sfumature ovattate rendono la diva più simile a una statua filo-ellenica che ad una delle figure deboli e ritrose di molti manifesti cinematografici. La figura maschile sulla destra (Marcello Mastroianni), invece, è nervosa, scontornata e continuamente rifinita da rughe d’espressione, solchi, contorni, ombre, e le sue linee sono nervose, angolari, interrotte a rappresentare un carattere duro e deciso che il personaggio del film ha solo in parte. Una forte dicotomia figurativa ed espressiva che sta anche nei particolari, nel volto onirico dell’una e nel volto disturbato dell’altro. Un fermo immagine sullo stato d’animo dei personaggi. L’immagine non ha sfondo nè riferimenti temporali o spaziali; neppure le due figure sono in proporzione fra loro: semplicemente emergono dalle ombre scure che le avvolgono per sprigionarsi nella loro essenza, momento di maggiore eloquenza personale. In particolare, Mastroianni trova la sua iconografia nel divismo americano dell’uomo misterioso e affascinante.
Sul piano cromatico sono evidenti due blocchi: i toni scuri, uniformi, dall’azzurro al ciano al blu, in netto contrasto con il giallo (in approssimazione complementare del blu) e illuminati solamente dal rosso dello scialle della diva, dalla sua pelle rosea e dai capelli oro. Il protagonista, pur essendo colpito dalla luce in viso, rimane scuro, e l’unica punta di calore sta nella sua sigaretta accesa. Ed è proprio questa sigaretta a scandire il tempo del dopoguerra, della prima sfacciata ripresa economica e della spensieratezza della danza della donna. Il resto aleggia nel nulla dello sfondo.Olivetti conosceva bene il film, ma soprattutto conosceva bene il pubblico: sapeva che sarebbe rimasto incantato dai valori moderni, dell’america, del cinema, dei riflettori. Ambienti altolocati, vita mondana, raffinatezze… E sapeva anche che una donna, scollata, con uno scialle rosso e a piedi nudi avrebbe attirato l’attenzione su tutti quei valori. Nessun particolare, nessun gioiello, solo forme sinuose e abiti ricercati che fanno subito capire che il soggetto femminile non è appartenente alla classe bassa, bensì a quella alta. E che la mancanza di scarpe non è povertà, ma sublime abbandono alla vita. Il volto puro e i suoi colori, oltre che la ricercatezza nei contorni e nelle forme morbide che sono del livello formale non sono scelte casuali: la sensazione che si trasmette è quella di rilassamento, di equilibrio, perfezione irraggiungibile e ricercatezza. Le linee spezzate del protagonista, invece, non fanno che dare una scossa nervosa e ansiogena, potenziata ulteriormente dalla sigaretta, simbolo sì di emancipazione hollywoodiana ma anche nevrotica e ancora d’appoggio nei momenti di tensione. Le due figure sono distanti, lei non guarda nemmeno l’altro e lui le dà uno sguardo distratto, come nella celebre sequenza del bagno nella Fontana di Trevi. Le loro posizioni, i loro atteggiamenti sono gli stessi assunti nella fontana e poco prima di entrarci: Olivetti ammicca alla scena più importante e la trasla in immagini. Il coinvolgimento è tanto percettivo, quanto interpretativo quanto passionale: c’è un’attenzione al rosso caldo ed emotivo dello scialle, e il giallo, scelto per titolo e regista, è lo stesso colore dei flash dei fotografi e dei riflettori accesi sul red carpet. Ma è quell’ombra famelica che segue Mastroianni che lascia l’amaro in bocca: c’è troppo buio, troppo scuro perché quello sia solo e solamente un mondo morbido e delicato. La copertina preannuncia la profondità del tema nascosto dietro alla facciata, la malinconia. E poi c’è la distanza fra i due personaggi. Una barriera invisibile tiene lontani i due personaggi, li divide, non li fa parlare. Non c’è un debole, non c’è un forte. Non c’è un bene, non c’è un male, non c’è nessun dramma di guerra. C’è un dramma personale, e quindi ci sono due persone, due persone distanti.