La comunicazione pubblicitaria nel manifesto cinematografico
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Lo scopo di ogni buona pubblicità è quello di convincere il passante o spettatore che sia a comprare il prodotto di cui si parla, presentandolo come unico, indispensabile e irripetibile. Ma se le rèclame di vestiario, oggettistica per la casa e quant’altro punta sulla ripetitività snervante del loro messaggio, per i film funziona diversamente; le sale infatti hanno un tempo limitato in cui possono proiettare le pellicole, oltre il quale non è consentito andare. Questa ristrettezza di tempi rende necessaria una pubblicità di efficacia immediata, che colpisca il passante dritto nell’animo, che lo convinca in pochi minuti ad acquistare un biglietto per quello spettacolo imperdibile.
Come fare? Fin dagli anni Venti vengono in aiuto dei cartellonisti alcuni pubblicitari o esperti di comunicazione che dalle pagine delle riviste di settore offrono il loro punto di vista sulla questione. Nel 1929 sulle pagine della rivista Cinematografia si legge che “è necessario saper suscitare l’interesse per il lavoro stesso, con brevi e chiari commenti illustrativi. Si dovranno ancora valorizzare gli interpreti […] il direttore artistico, l’autore del lavoro. […] E’ dunque utile insistere sull’ambiente in cui si svolge l’azione, essenzialmente se si tratta di un’epoca lontana o poco conosciuta”[1]. Questi suggerimenti non sono mai venuti meno e costituiscono ancora oggi un punto di partenza fondamentale per la cartellonistica cinematografica. Non deve sorprendere perciò che in un articolo di dieci anni più tardi, l’autore, egli stesso creatore di bozzetti per le affiches del cinema, individui in questi termini le basilari peculiarità di un manifesto che adempia innanzitutto alle sue esigenze di subitanea seduzione del viandante distratto: “Gli attori devono venire esposti tenendo conto della loro importanza. A grandi vistosissimi caratteri deve apparire il titolo e naturalmente l’eventuale sottotitolo. Inoltre deve seguire un dettagliato elenco degli altri attori, tecnici e regista, né deve mancare la denominazione del sistema sonoro con il quale il film è stato ripreso”[2].
Secondo Abraham Moles le funzioni del manifesto sono sette: informativa, seduttiva, economica, educativa, ambientale, estetica, creativa e tutte ne influenzano in qualche modo i meccanismi “linguistici”. Di queste quelle che hanno un peso maggiore nell’ambito cinematografico sono: l’informativa, che influisce in particolar modo sul registro verbale, facendo sì che qual’ ora si voglia dare maggior rilievo alle informazioni quali titolo o nomi di attori e regista, quello visivo risulti meno efficace; quella seduttiva, che passa sopratutto attraverso l’esaltazione di attrici e attori, dive e divi nei cartelloni; quella ambientale, che prevede che si tenga conto della collocazione finale dell’ affiche (la strada piuttosto che i sotterranei della metropolitana) e che invita all’uso di tinte accese, violente e alla predilezione per la smisurata grandezza delle parole in funzione dell’immediatezza con cui il messaggio deve essere “letto”; ed infine quella estetica, che si esplica nella riuscita compositiva del cartellone, delle sue linee, dei colori delle sue immagini.[3]
L’aspetto verbale dei manifesti non è meno importante di quello visivo. Generalmente esso fa uso di una retorica enfatica. Per rendere più efficace la comunicazione, e le figure maggiormente presenti sono la metonimia, la metafora e l’iperbole, caratterizzate da una tendenza allo slittamento dal piano denotativo, cioè quello che fornisce le informazioni, a quello connotativo, che invia invece dei messaggi di tipo culturale ed estetici a chi osserva, provocando in lui delle reazioni emotive che lo spingono ad immaginare un mondo soprasensoriale ad di fuori e al di sopra del messaggio denotativo.[4] Questo implica che ci sia una corrispondenza fra il codice culturale dell’autore del messaggio e quello del fruitore.
Anche tenere nella giusta considerazione la psicologia del pubblico a cui ci si rivolge è fondamentale, perché se è vero che il manifesto rispecchia i gusti e le tendenze di un’epoca, è allora conseguente che, a seconda del contesto culturale in cui il film viene pubblicizzato, siano diversi i valori e le tematiche veicolate dalle immagini, per andare ad incontrare le diverse preferenze di un pubblico differenziato. Questo spiega perché le case di produzione internazionali abbiano diversificato di luogo in luogo i loro corredi promozionali, basti pensare a quanti differenti manifesti vennero realizzati per reclamizzare la medesima pellicola, tenendo conto delle peculiarità culturali, sociali e ambientali del luogo per cui veniva disegnata la réclame in questione.
[1] Cinema e Pubblicità, Cinematografia, 15 Luglio, 1929
[2] Elster R., Fantasia sui muri, “Cinema” , 77, 1939
[3] Mucci E., Il manifesto cinematografico: articolazione di un linguaggio, pag. 12
[4] Mucci E., Il manifesto cinematografico: articolazione di un linguaggio in Il cinema nei manifesti di Silvano Campeggi (Nano) dal 1945 al 1960, pag. 11