Il cinema dipinto. L’illustrazione pubblicitaria per il film in Italia
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Il manifesto cinematografico italiano è senza dubbio uno dei più importanti per tradizione e valore artistico. L’industria cinematografica italiana, fin dalle sue origini, ha considerato con serietà il problema della valorizzazione del film attraverso i suoi strumenti di promozione, primo fra tutti il manifesto murale a colori. Marcello Dudovich, Duilio Cambellotti, Luigi Caldanzano, Achille Luciano Mauzan sono solo alcuni degli artisti che, disponibili a prestare la propria creatività alle arti applicate, mettono a punto illustrazioni di grande formato che partecipano alla nobilitazione del cinema presso le classi borghesi e aristocratiche. Nel corso degli anni, nonostante con il cambiare dell’industria cinematografica, che punta su una strategia promozionale sempre più banale, stereotipata ma decisamente efficace, e il sorgere delle agenzie pubblicitarie che svolgono un ruolo intermedio tra committente e autore riducendone di fatto la libertà creativa – si mantiene viva la tradizione di un’illustrazione in cui si intersecano tra loro classicismo e modernità, modelli pittorici e illustrazione popolare, immagini narrative e ritratti sullo sfondo di un marcato realismo. Sono queste le scelte di campo entro cui, in larga misura, si muovono i pittori cartellonisti italiani preoccupati, almeno fino alla prima metà degli anni Venti, di trovare una strada in cui lo stile e il linguaggio artistico moderno possano essere in grado di parlare al pubblico popolare del cinema. E’ questa, ad esempio, la strada su cui si muovono i cosiddetti “sei di Torino”. Un esempio interessante è quello di Mauzan il quale manifesta apertamente una vocazione al manifesto pubblicitario e a quello cinematografico in particolare, costituendo un caso isolato nella sua generazione.
A differenza dei manifesti per i prodotti commerciali, in quelli cinematografici Mauzan si preoccupa di trovare sempre e in ogni caso uno sfondo artistico entro cui concepire e sviluppare l’illustrazione. Che sia l’arte classica antica, quella ottocentesca o le correnti a lui contemporanee, Mauzan sceglie dei riferimenti tali per cui i suoi manifesti non siano solo efficaci ma possano essere considerati delle vere opere d’arte. In un testo scritto dallo stesso autore, si parla di manifesto illustrato come di “arte per il popolo”. Artistico e popolare possono essere considerati i due aggettivi dentro ai quali si sviluppa la storia dell’illustrazione italiana per il cinema che lega tra loro artisti cronologicamente e stilisticamente molto lontani da Ballester a Cesselon, da De Seta fino a Sandro Simeoni.
A differenza di altre grandi scuole di cartellonisti, come quella russa o cecoslovacca, in Italia si fa meno uso dell’astrattismo e del simbolismo preferendo un’illustrazione figurativa. E’ senza dubbio il realismo a costituire una delle matrici caratterizzanti la via italiana al manifesto cinematografico. Un realismo delle figure, dei volti, degli oggetti ma anche delle situazioni, dei luoghi, dei paesaggi. Nelle posture dei corpi e nei volti dei personaggi, la cui rappresentazione è obbligatoriamente richiesta dalle case di produzione, i cartellonisti rappresentano la drammaticità e le passioni che animano il racconto del film. La messa in scena della narrazione costituisce infatti, fin dalle origini, un’altra delle matrici del manifesto italiano. Se nel periodo del muto si tende a rappresentare una sola e singola scena rappresentativa del film, nel corso degli anni Trenta e Quaranta si sviluppa un linguaggio specifico del manifesto che procede ad un montaggio di immagini diverse legate tra loro da vettori cromatici, spaziali o di sguardi sul modello del montaggio cinematografico. Generalmente si tratta di immagini puntuali, sospese nel loro attimo culminante e cariche quindi di suspense in grado di sollecitare domande che possono trovare risposte solo nella visione del film. E’ in questi stessi anni che il legame tra illustrazione pubblicitaria e linguaggio cinematografico si stringe progressivamente. La scala dei piani, la profondità di campo, il montaggio di immagini sono alcuni degli espedienti più usati nel cartellone italiano. Meno frequente, almeno fino al secondo dopoguerra, la riproduzione sul manifesto dello stile del film. Ciò avverrà soprattutto nel corso degli anni sessanta e settanta grazie alla volontà di alcuni cartellonisti (uno su tutti Sandro Simeoni) che grazie a irrealistiche scelte cromatiche e figure astratte daranno priorità allo stile visivo del film.
I cartellonisti fin dalle origini sono costretti a mantenersi entro i limiti imposti dalle esigenze commerciali dell’industria cinematografica ma, all’interno dei questi confini, tentano, nella maggior parte dei casi, di affermare la propria identità artistica e la propria sensibilità. I cartellonisti infatti devono anche preoccuparsi di rappresentare nelle loro illustrazioni la storia e il senso del film procedendo ad una selezione di elementi iconografici che siano in grado di incuriosire l’osservatore e attirarlo in sala. L’informazione veicolata dal manifesto può, in diversi casi, trasgredire del tutto i reali contenuti del film, qualunque essi siano, a vantaggio di una formula di richiamo stereotipata che faccia riferimento a codici di genere o aspetti di forte richiamo.
(Roberto Della Torre)