Un mondo d’immagini: il cinema d’animazione italiano
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>I primi segnali di una nascente animazione italiana nel periodo del cinema muto possono essere individuati in pochissime opere, tra cui spicca La guerra e il sogno di Momi (1916) di Giovanni Pastrone. Più che un film d’animazione è un film a pupazzi animati, sorprendente per fluidità e perfezione, ottenute grazie ai trucchi di Segundo de Chomòn. Oltre a questo film restano solo alcuni brevi, ma divertentissimi, spot in bianco e nero di autori ignoti che, con grande ironia, promuovono nuovi prodotti industriali. Attorno agli anni Dieci i fratelli Arnaldo e Bruno Ginnani Corradini usano l’animazione per le loro sperimentazioni futuriste. Si tratta di film astratti (purtroppo andati perduti) dipinti direttamente sulla pellicola e ispirati a poesie, musiche e opere d’arte. La pittura diretta sulla pellicola avrà altri illustri successori nel cinema italiano del secondo dopoguerra, in particolare Luigi Veronesi e Cioni Carpi.
Recentemente è stato ritrovato un film considerato perduto, Il sogno del bimbo d’Italia di Riccardo Cassano del 1915. Al 1920 risalgono alcuni brevi film comici realizzati dal bolognese Zambonelli di cui tre dedicati alla figura del Barone di Munchausen. Altri esperimenti in epoca fascista sono quelli del genovese Giovanni Bottini (La cura contro il raffreddore), dello scenografo Guido Presepi, impegnato in film per ragazzi (Il topo di campagna e il topo di città) e di Alberto Mastroianni che realizza nel 1925 un film sperimentale fatto di disegni a gesso su lavagna.
Lo stesso Mussolini, affascinato dall’animazione, pare avesse in progetto la produzione di un lungometraggio dedicato alla sua vita. Poiché il linguaggio dell’animazione è in grado di rivolgersi a qualsiasi tipo di pubblico, il regime lo
utilizza per l’importante campagna antitubercolare avviata nel 1931 affidandone la realizzazione a Liberio Pensuti. Oltre ad animare grafici e tabelle, Pensuti dirige per questa decennale campagna alcuni corti interamente in animazione, tra cui il graffiante La taverna del tibiccì (1935).
Tra il 1935 e il 1936 Gioacchino Colizzi (Attalo), Mameli Barbara (entrambi cartellonisti cinematografici) e Roul Verdini si associarono per portare sullo schermo Le avventure di Pinocchio, ma l’inesperienza, i disaccordi e l’arrivo di Disney che ne acquistò i diritti (per sbarazzarsene) segnarono la fine dell’impresa.
La produzione italiana continua sul versante dei cortometraggi per ragazzi, soprattutto grazie ai fratelli Cossio i quali attingono sia dalla letteratura popolare (La secchia rapita di Tassoni, La macchina del tempo di Welles, solo per citarne alcuni) sia dal folklore regionale (Pulcinella e i briganti). Nonostante l’animazione richiami a sé pittori (Luigi Giobbe, Goghi Faggioni), fumettisti (Roberto Sgrilli autore del piacevole medio metraggio a colori Anacleto e la faina, 1942) e illustratori (Antonio Rubini e Giannalberto Vanni) che ne elevano la qualità, l’industria italiana non riesce a contrastare la forte concorrenza disneyana. Nell’immediato dopoguerra Gibba, pseudonimo di Francesco Maurizio Guido, realizza l’unico prodotto in animazione riconducibile alla poetica neorealista, L’ultimo sciuscià, storia di un povero lustrascarpe che la fame e la povertà porteranno a una prematura morte.
Nel 1946 i fratelli Nino e Toni Pagot, già attivi nel campo dell’illustrazione, fondano a Milano la Pagot Film con la quale realizzano il mediometraggio Lalla, piccola Lalla, che rievoca le Silly Simphonies disneyane, e quindi I fratelli Dinamite, primo lungometraggio del cinema in animazione italiano. A contendersi questo primato c’è anche La rosa di Bagdad – ispirato alle atmosfere di Le mille e una notte – di Anton Gino Domeneghini, presentato, insieme al film dei Pagot, alla X edizione del festival del cinema di Venezia del 1949. I film non ebbero il successo commerciale desiderato e così entrambi gli studi dovettero riconvertirsi alla più redditizia produzione pubblicitaria.
Tra il 1949 e la prima metà degli anni ‘60 la Pagot Film realizza oltre 400 pubblicità destinate alle sale cinematografiche: brevi storie ricche di idee, colore, musica e canzoni con cui si promuovono i prodotti dell’Italia del boom economico.
Il 3 febbraio 1957 la pubblicità arriva nelle (poche) televisioni degli italiani dentro a quel contenitore di successo di nome Carosello a cui, nel bene e nel male, si legherà indissolubilmente la storia del cartoon del nostro paese.
Tutti i maggiori studi d’animazione, concentrati nella città di Milano, realizzano per Carosello migliaia di spot affidati a quei “testimonial di cartone” celebri ancora oggi: da Calimero dei Pagot alla Linea di Cavandoli.

West and soda (Bruno Bozzetto, 1965)
In questo clima di euforia emerge un giovane animatore di nome Bruno Bozzetto i cui corti, invece, irridono la società consumistica e i suoi simboli. Il Sig. Rossi, uno dei suoi personaggi più famosi, è la caricatura dell’uomo medio alle prese con i costumi e gli stili di vita della nuova società italiana. Bozzetto e la sua factory produrranno – caso unico in Italia – ben tre lungometraggi di successo: West and soda; Vip, mio fratello superuomo; Allegro non troppo, film quest’ultimo in cui parti a cartoon, sviluppate su brani del repertorio musicale classico, si alternano a sequenze “dal vero” con protagonista Maurizio Nichetti.
Nel 1961 Roberto e Gino Gavioli rilasciano, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, un medio metraggio da un soggetto di Cesare Zavattini dal titolo La lunga calza verde. All’indomani di questa prova la Gamma Film dei Gavioli realizza il lungometraggio Putiferio va alla guerra, una favola pacifista con le canzoni di Rita Pavone. Tra i migliori e più originali animatori del periodo bisogna ricordare Pino Zac, Giulio Cingoli, Osvaldo Piccardo, Guido Manuli, Giulio Gianini e Emanuele Luzzati. Questi ultimi due sono stati autori di eccezionali film musicali per ragazzi, tra cui la celebre trilogia rossiniana e Il flauto magico da Mozart, oltre a brillanti short con protagonista Pulcinella. Sulla spinta dell’invasione di cartoni animati giapponesi anche la televisione italiana si impegna nella produzione di serie tv.
Ed ecco i 26 episodi di Tofffsy (1974) di Pierluigi De Mas (autore, tra l’altro, di molte canzoni animate per lo Zecchino d’Oro) e quelle dei figli di Nino Pagot, Marco e Gi, tra cui ricordiamo L’ispettore Nasy (1980-82) e Il fiuto di Sherlock Holmes (1983-85). La produzione televisiva è proseguita con successo, dalla Pimpa di Altan portata sullo schermo televisivo da Enzo D’Alò (1998) a Cocco Bill (2002) di De Mas, dalla Famiglia spaghetti (2003) di Giuseppe Laganà fino alla fortunata serie delle Winx Club (2004) di Igino Straffi.
Negli ultimi anni anche la produzione per il grande schermo ha conosciuto opere di indubbio valore, ottenute anche grazie alla collaborazione di diverse personalità dell’animazione. E’ questo il caso de La Gabbianella e il Gatto (1998), film tratto da una racconto di Luis Sepùlveda e diretto da D’Alò, a cui hanno collaborato Walter Cavazzuti, Michel Fuzellier e Mario Addis. A differenza di ciò che accade in altre cinematografie, in Italia l’industria si è sempre rivolta a un pubblico di bambini e ragazzi. Non mancano però autori che realizzano un’animazione sperimentale, poetica e personale tra i quali ricordiamo Gianlugi Toccafondo e Simone Massi, vincitore del primo David di Donatello assegnato a un cortometraggio in animazione con il film Dell’ammazzare il maiale (2011).
(Roberto Della Torre)