Amare per uccidere (Wicked as They Come, 1956- K. Hughes)
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Kathy Allenbourg (Arlene Dahl) è una giovane e bellissima donna che pur non riuscendo a sopportare il benché minimo contatto fisico con un uomo, ha comunque una forte influenza su di essi tanto da convincere, grazie alla sua sottile arte seduttiva, la commissione di un concorso fotografico di bellezza ha eleggerla come vincitrice. Kathy una vola a Londra, cambia il cognome in Allen e allaccia relazioni parallele con tre uomini, soggiogati dalla sua sensualità e dal suo arrivismo. Queste relazioni, anche con uomini sposati, la portano a ricevere lettere e telefonate minatorie. Il suo nervosismo sfocia in rapporti particolarmente tesi con il marito, tanto che una notte Kathy scorgendo un’ombra aggirarsi furtiva nel giardino della casa, le si fa incontro con il revolver del marito. Anche John si alza e si dirige verso il possibile intruso. Kathy in preda all’agitazione fa fuoco attraverso una porta che sta per essere aperta, uccidendo così suo marito: è proprio questo l’istante che viene sapientemente catturato da Anselmo Ballester, che lo restituisce nel manifesto. L’artista inserisce al centro dello spazio la figura femminile che ha le fattezze dell’attrice che interpreta la protagonista, abbigliata con un semplicissimo abito la cui unica particolarità risiede nel colore, un rosso carminio intenso, simbolo efficace di amore e morte. La donna, che ha il viso sconvolto e quasi trasfigurato dalla tensione e dalla paura, con gli occhi letteralmente sbarrati e la bocca contratta, viene colta nell’atto di far fuoco tramite la pistola che tiene puntata davanti a se. Ballester con grande maestria introduce la figura del marito ucciso, grazie ad un espediente narrativo che si traduce graficamente con un’ombra proiettata sul fondo bianco che sta alle spalle della donna. L’ombra sovrasta la figura della donna, assumendo le dimensioni amplificate tipiche delle ombre dovute ad una luce proiettata, accrescendo così la drammaticità dell’instante catturato e riproposto nel disegno.
Ballester riesce così a condensare in pochissimi elementi narrativi il climax della pellicola, restituendoci un’immagine di grande qualità grafica e artistica, grazie all’uso di un segno preciso e ad una consapevolezza nell’uso dello spazio del manifesto, sovrapponendo le due figure che simboleggiano il reale (la donna), l’immaginato (l’intruso) e il drammatico epilogo.
Chiara Merlo