Amadeus (M. Forman-1984)
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?> Miloš Forman dirige la trasposizione cinematografica dell’opera teatrale di Peter Shaffer, che racconta partendo da una teoria puramente letteraria e quasi certamente priva di fondamento, di un acceso antagonismo tra i compositori Wolfgang Amadeus Mozart (Tom Hulce) e Antonio Salieri (F. Murray Abraham). In una Vienna ottocentesca, Salieri solo ed isolato in un manicomio, confessa ad un sacerdote di aver provocato la morte di Mozart. Ripercorrendo le vicende intercorse tra i due, vengono alla luce gli intrighi orditi dal compositore veronese, mosso da una profonda invidia mista ad un’incondizionata ammirazione per il genio del giovane musicista salisburghese. La pellicola racconta una storia volutamente romanza e a tratti antistorica, ma perfettamente punteggiata da un commento sonoro formato da alcuni brani del genio mozartiano; vincitrice di numerosi premi internazionali, tra cui di sette Oscar, è stata inserita nel 1998 dall’American Film Institute l’ha nella classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi.
Il manifesto si presenta come una curiosa composizione di soggetti, una sorta di collage creato dall’artista Renato Casaro. Lo spettatore ritrova su uno sfondo verde una strana sagoma composta da due visi posti di profilo, un elegante uomo che indirizza una sguardo accigliato verso il basso, un altra figura maschile intenta in una fragorosa risata e due amanti abbracciati. Casaro come sempre nelle sue opere, condensa le parti salienti della pellicola inserendo elementi non scontati e che trasmettono metaforicamente i significati veicolati dal racconto filmico, tra cui l’uso del colore verde che abbonda in tutta la pellicola e qui è utilizzato come sfondo. Le due figure in primo piano, sono la trasposizione di due degli aspetti principali che caratterizzano il giovane Mozart, restituito il tutta la sua eleganza di compositore di corte ma con indosso con un curioso copricapo, trasmette la sua folle genialità in un’esplosiva risata, mentre il suo essere giovane e libertino nell’abbraccio serrato con la figura femminile. Antonio Salieri a cui presta il viso l’attore Murray Abraham, è serio e cupo, guarda dall’altro il giovane genio, indirizzandogli uno sguardo compìto e carico di disprezzo. Tutte queste figure sono contenute in un’ombra, una sagoma in ultimo piano scura e quasi minacciosa, composta da due figure maschili di cui è solo il solo elemento percettibilesono i profili dei visi e un largo mantello e lo spettatore a quasi la sensazione che, se quel mantello si dovesse richiudere di colpo, tutto sparirebbe inghiottito nel nero. Una sorta di mostro a due teste, che può essere individuato come un richiamo alla follia di Salieri che racconta la storia alla fine dei suoi giorni, un racconto in bilico tra verità e invenzione compendiato dalla minuziosa tecnica di Casaro, così attenta ai particolari e all’uso del colore declinato grazie a sfumature delicate, creando così un insieme elegantemente armonico.
Chiara Merlo