Le molte facce della luna
/?php get_template_part('parts/single-author-date'); ?>Quello della luna è indubbiamente uno dei simboli più potenti e trasversali che ricorrono nell’immaginario collettivo. La sua immagine può essere utilizzata per comunicare emozioni di tipo molto differente tra loro: da languide emozioni appartenenti alla sfera romantica, a sinistre ambientazioni cupe e spettrali, essa sembra riuscire a coniugare impressioni che si declinano in direzioni talora opposte. Emblematica in questo è l’interpretazione canonicamente attribuita alla carta numero XVII dei tarocchi, ovvero La luna. L’arcano maggiore preso in esame si riferisce infatti, nelle sue sfaccettate possibilità esegetiche, a situazioni la cui natura appare ambigua, o meglio non immediatamente e chiaramente decifrabile: gli elementi che condizionano una situazione alle spalle delle cause più manifeste; gli effetti secondari e invisibili che soggiaciono a una determinata azione; le vere fattezze delle cose, sagome oscure e inintelligibili che si celano dietro il menzognero velo delle apparenze.
Molte tra le arti hanno incastonato la luna all’interno di precisi orizzonti interpretativi, attribuendole significati, valori quando non addirittura poteri, molto variegati. Nelle righe che seguono ci occuperemo di raccontare il ruolo che il bianco satellite terrestre ha avuto nell’opera cinematografica, cercando, senza alcuna pretesa di esaustività, di illustrare alcune linee di tendenza che ci pare abbiano caratterizzato le diverse modalità attraverso cui la luna è stata ritratta nella storia di questo medium.
La luna fa la sua comparsa da protagonista fin dagli albori del lungo cammino con il quale il cinema stesso si sarebbe snodato attraverso i lunghi decenni successivi. Nel capolavoro di George Méliès Le voyage dans la Lune (1902) è proprio il nostro satellite a rappresentare la destinazione di un viaggio tanto fantastico quanto folle e temerario. Nel breve film del regista francese infatti assistiamo alla spedizione di un gruppo di dotti scienziati intenzionati a raggiungere la luna a bordo di un razzo, salvo poi lanciarsi in una fuga precipitosa e rocambolesca una volta scoperto che l’astro è abitato da una tribù di alieni autoctoni ostili. Come suo solito Méliès sfrutta gli spunti fantastici offerti dal racconto per mettere in scena i suoi trucchi da illusionista che avevano trovato nel medium cinematografico un campo di applicazione assai fecondo. La luna in questo senso si fa metafora di un qualsiasi posto altro rispetto a quello della quotidianità: per dipingere un luogo sostanzialmente separato da quello della vita, dove poter mettere in scena una serie di meravigliose baracconate, Méliès elegge la luna, apparentemente irraggiungibile, ad archetipo di tutti quei posti immaginifici ove ambientare fantastiche vicende. In definitiva, così come Ariosto manda Astolfo sulla luna – la luna non in quanto posto fisico, bensì in quanto altrove metafisico – a recuperare il senno di Orlando, Méliès spedisce i suoi scienziati nel medesimo luogo non per farne una destinazione precisa, ma proprio perché la luna assume i caratteri della metafora di qualsiasi luogo possibile.
Se il viaggio degli scienziati di Méliès aveva carattere del tutto eccezionale, a partire dagli anni Cinquanta sulla luna vanno un po’ tutti, persino comici e burloni. Al netto dei film di fantascienza – attraverso i quali l’ottica di un raggiungimento effettivo del satellite comincia ad essere vista in maniera sempre più verosimile, e di cui ci occuperemo a breve – sussiste un piccolo filone di film comici italiani inclini a spedire i propri protagonisti sulla luna. Esempi principali possono essere considerati Totò nella luna (Steno, 1958) e 002 – Operazione luna (Lucio Fulci, 1965). Attraverso queste pellicole possiamo vedere come non sia ancora andato perduto il carattere fantastico del satellite, il quale permette di articolare ancora storie imperniate sul mistero e sullo stimolo immaginativo reso possibile da una destinazione tanto ignota quanto suggestiva.
La battaglia a colpi di tecnologia per la conquista dello spazio instauratasi tra Stati Uniti e URRS, culminata con il definitivo approdo dell’uomo sulla luna nel 1969, ha contribuito a svuotare l’immagine di essa dalle sue implicazioni più fantasiose. Da questo momento infatti si assiste a un progressivo concretizzarsi della sua figura, la quale viene ritratta in maniera sempre più realistica e verosimile per quanto pur fantascientifica. L’avvenimento storico dell’allunaggio, insieme ai precedenti tentativi di raggiungere il satellite, divengono ben presto materia della narrazione cinematografica. Cinema e storia si intrecciano anche nelle cospirative per quanto suggestive teorie che cominciano a partire dagli anni seguenti a diffondersi. Esse vedrebbero lo storico filmato, che ritrae Neil Armstrong e Buzz Aldrin mentre camminano sulla candida superficie lunare, come il frutto di una messa in scena filmica operata in gran segreto attraverso accurate ricostruzioni per anticipare a livello mediatico un preoccupante probabile arrivo dei rivali sovietici.
Ecco che dunque la luna cessa di essere casa di alieni bizzarri o di ospitare fantasiose scenografie. Essa deve rassegnarsi a venire ormai rappresentata come una propaggine terrestre, oggetto di mire di conquista e di dominio. Un baluardo prezioso ma ormai privo di tutte quelle connotazioni che ne avevano caratterizzato l’immagine ambigua e fascinosa. Già in 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968) – peraltro girato con straordinario anticipo ben un anno prima che l’uomo mettesse effettivamente piede sul suolo lunare – il satellite ospita in maniera permanente una base spaziale tra la quale e il pianeta Terra ci sono dei viaggi frequenti e relativamente ordinari. Fino ad arrivare al recente piccolo capolavoro firmato da Duncan Jones, Moon (2009): in questa pellicola, ambientata interamente sulla luna, vediamo una stazione di estrazione mineraria che ospita stabilmente la manodopera che vi lavora. Le logiche del capitalismo selvaggio, dello sfruttamento operaio, dell’alienazione conseguente alla solitudine e alla ripetitività delle mansioni svolte, non cambiano cambiando orizzonte o pianeta, ma rimangono drasticamente e terribilmente simili a quelle che si impongono sulla Terra.
La luna diviene dunque con il passare degli anni inevitabilmente percepita come un oggetto vicino, parte della quotidianità; l’orizzonte fantascientifico volge dunque il proprio sguardo al di là di essa, verso quelle zone dell’universo inesplorate e ancora in grado di suggerire l’alone di mistero che il nostro satellite sembra aver ormai irrimediabilmente perduto.
La luna non smette in realtà di esercitare il proprio fascino, nonostante lo faccia al di fuori di quelle implicazioni relative al viaggio, allo spostamento. Due sono essenzialmente le facce della medaglia attraverso cui l’astro opera ancora il suo influsso sugli spettatori di tutto il mondo: da una parte l’inesauribile carica romantica che esso porta con se; dall’altra la capacità di influire sugli esseri viventi con poteri misteriosi, soluzione, quest’ultima, utilizzata prettamente nel cinema di matrice fantastica. Per quanto riguarda l’aspetto romantico poco c’è da dire, dal momento che la luna si è sempre contraddistinta come simbolo cardine in questo campo. Le passeggiate al chiaro di luna, la luna che sovrasta due innamorati campeggiando nel cielo: unica testimone notturna degli incontri amorosi, il suo carattere di complice e preservatrice di tutto ciò che viene in qualche modo nascosto agli occhi dei più, al quale abbiamo accennato nell’introduzione, la rende un tramite ideale per comunicare la suggestione di questo tipo di circostanza. Non basterebbero decine di pagine per racchiudere tutte le sequenze che nel cinema hanno eletto la luna a protagonista di questo genere di situazioni – Jim Carrey che ingrandisce la luna per creare la luna grazie hai suoi straordinari poteri in Una settimana da Dio (Bruce Almighty, 2003), e potrebbero essere centinaia ancora – per cui lasceremo che sia il lettore a richiamare alla mente in una carrellata immaginaria quelle che hanno avuto un impatto maggiore in relazione al suo vissuto e quelle che gli sono rimaste maggiormente impresse.
L’altro aspetto, decisamente più interessante, è quello legato ai poteri della luna, spesso identificati nella forma di ancestrali maledizioni. La capacità dei cicli lunari di condizionare a distanza eventi fisici sulla terra (le aree costituiscono l’esempio più emblematicamente macroscopico) ha da sempre lasciato che il satellite fosse investito di poteri nascosti che sono stati espressi in varie declinazioni nel genere fantastico. Si pensi ad esempio partendo dal genere horror, al tema della licantropia, affrontata nel cinema da decine di film che vanno da L’uomo lupo (George Waggner, 1941) a L’implacabile condanna (Terence Fisher, 1961), da Un lupo mannaro americano a Londra (John Landis, 1981) a Unico indizio la luna piena (Silver Bullet, 1985). Tornando su pellicole aderenti a un genere genuinamente fantastico troviamo il recente La maledizione della prima luna (Gore Verbinski, 2003), in cui i cicli lunari definiscono la doppia vita di una banda di bucanieri che al chiaro di luna rivelano la propria condizione di spettri; o il fantasy romantico Ladyhawke (Richard Donner, 19855) nel quale la luna scandisce le trasformazioni di una coppia di amanti – l’uno lupo di notte, l’altra falco di giorno – destinati a non potersi incontrare mai.
Tra viaggi fantastici, artifici misteriosi, obiettivi strategici, la luna, non ha mai smesso di stregare con la sua aura ammaliante. Campeggiante nel cielo ogni notte (o quasi) infonde ancora la magia in chi alza lo sguardo e, naso al cielo, si perde ad osservarla. Per questo, nonostante provenga da una pellicola che con la luna ha in realtà poco a che fare, ci viene da pensare che il fotogramma che nel cinema ha meglio descritto il rapporto che abbiamo con il nostro satellite sia l’inquadratura di E.T. nella quale vediamo stagliarsi sul luminoso e lucente disco lunare la sagome di un bambino in bicicletta. Sempre tesi verso la magia di quell’oggetto insondabile ci poniamo a metà tra il nostro mondo e il suo, meta ideale di quei viaggi fantastici che contraddistinguono il mondo dell’infanzia e rimangono dentro di noi per tutta la vita per non farci dimenticare come si fa a sognare.
(Federico Colombo)